14 ottobre 2022

 PNRR e PPP: il placet di ANAC


Non posso oggi esimermi dal spendere qualche parola sulla Delibera ANAC n. 432 del 20 settembre 2022, pubblicata e commentata un po' ovunque ed accolta come notizia rivoluzionaria per l'immediato ed effettivo riscatto dello strumento del PPP nell'attuazione del PNRR: la realtà è che l'ANAC sicuramente dà una buona spinta all'utilizzo del PPP, con una delibera utilissima in via interpretativa per le Amministrazioni, ma non ci dice fondamentalmente nulla di nuovo. Non solo, ma questo provvedimento rischia di creare seri problemi se non correttamente interpretato ed adeguatamente letto, perché potrebbe ingenerare l'errata convinzione che la presenza dei fondi PNRR rimuova integralmente i limiti al contributo pubblico nei contratti di PPP.
Così non è! Né ANAC lo ha mai affermato, anzi ha detto il contrario pur in maniera evidentemente troppo implicita per chi non è sufficientemente esperto nel settore. Dunque, procediamo con ordine.
ANAC afferma, sulla base delle previsioni Eurostat, che non incidono sul calcolo del limite di contribuzione pubblica agli investimenti le risorse europee, anche provenienti dal PNRR, che non incidano sulla finanza pubblica nazionale e non risultino in alcun modo a carico della PA: tale indicazione, specifica l'Autorità, vale esclusivamente per i contributi di matrice eurounitaria a fondo perduto (c.d. grants), non per i prestiti onerosi soggetti ad obbligo di restituzione da parte dello Stato membro (c.d. loans).
Ebbene, tra i professionisti esperti di PPP sin dalla pubblicazione, nel 2013, dell'Esa 2010 e del Manuale sulla Contabilizzazione del Deficit e del Debito di Eurostat era nota la possibilità di superare la quota di contribuzione pubblica del 50% in presenza di utilizzo da parte della PA dei fondi strutturali europei (SIE) e, più in generale, da quelli 1) erogati da entità internazionali, 2) sulla base di accordi intergovernativi, 3) quando i fondi sono destinati a soggetti non appartenenti alla Pa. Proprio per questa ragione l'apprezzabile chiarimento di ANAC non è rivoluzionario, ma rappresenta un importante ausilio interpretativo per privati ed Amministrazioni nello sviluppo di progetti di partenariato finanziati con fondi PNRR e, più in generale, fondi europei.
Ciò chiarito, è fondamentale, con specifico riguardo al PNRR, sottolineare la distinzione giustamente ribadita da ANAC tra contributi a fondo perduto e prestiti onerosi: solo i primi, infatti, non rilevano ai fini del calcolo del contributo pubblico massimo erogabile. Ebbene, com'è noto, i fondi del PNRR non sono tutti a fondo perduta, ma una parte sono concessi a titolo di prestito che deve essere restituito. Questa seconda componente, dunque, costituisce indebitamento e rientra nel conteggio del 49% massimo di contributo pubblico concedibile.
Più nello specifico, quando si trovi di fronte ad un'operazione finanziata con fondi PNRR, l'Amministrazione, ai fini del calcolo del vincolo del 49%, dovrà verificare la fonte di provenienza dei fondi (Next Generation e/o Fondo Complementare) e rispetto alle quote di finanziamento di queste due fonti scorporare, per la sola quota proveniente da Next Generation Eu, la parte del finanziamento riferibile alla quota a fondo perduto. Solo questa beneficerà, difatti, della suddetta "franchigia", mentre la parte residua dovrà essere computata ai fini del calcolo del vincolo di contribuzione pubblica.
Si deve, inoltre, considerare che secondo le norme Eurostat, la percentuale di massima contribuzione pubblica con risorse "nazionali" o che, comunque, impattano sui conti nazionali (49% per i vincoli posti dal nostro Codice) non si applica sul totale dell'investimento, ma sul netto residuo una volta detratta la quota di contribuzione connessa ai fondi erogati da entità internazionali sulla base di accordi intergovernativi.
L'impostazione di operazioni di PPP con fondi PNRR, quindi, contrariamente a quanto da molti percepito, non consente di escludere la totalità di finanziamenti PNRR dal calcolo del contributo pubblico, ma richiede un'attività complessa e specifiche competenze tecniche: vanno verificati gli specifici apporti di fondi Next Generation EU grant, di Next Generation EU loan e di Fondo Complementare per le singole missioni ed i singoli progetti e di volta in volta calcolato quanto può essere elevata la quota di contribuzione piccola rispetto al 49% consentito dalla legge.
Ben venga, dunque, il chiarimento proveniente da ANAC, che sicuramente rappresenta un utilissimo ausilio interpretativo ed un incentivo all'utilizzo dello strumento del PPP anche per spendere i fondi PNRR ed i fondi europei più in generale, ma si deve fare molta attenzione alle applicazioni concrete di questi principi. Perché un'impostazione erronea, in questa specifica fattispecie, porta indubbiamente alla classificazione automatica on balance dell'operazione, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di finanza pubblica e di responsabilità erariale.
Inoltre, tutti si sono preoccupati esclusivamente della percentuale del contributo pubblico, ma la questione va analizzata sotto almeno due ulteriori profili più strettamente giuridici.
Ammettiamo che, rispettando i suddetti principi (non sforando, quindi, il limite del 49% di contributo pubblico perché si utilizza una percentuale significativa di contributi comunitari a fondo perduta), si riesca ad impostare un contratto in cui il finanziamento da parte dell'Amministrazione arriva a coprire il 70-80% dell'investimento, ci sono due elementi su cui riflettere:
1) siamo certi che caricare sulla parte privata una percentuale così ridotta di investimento (20-30%) consenta l'effettivo trasferimento del rischio operativo sul privato? Non dimentichiamo che questo è un requisito fondamentale per la configurazione del contratto di PPP. Possiamo ritenere che il rischio di costruzione sia effettivamente trasferito quando il privato si deve preoccupare di recuperare con la sua buona gestione una percentuale così ridotta dell'investimento? Siamo sicuri che il PSC risulterebbe a favore del contratto di PPP?
2) l'art. 168 del D.Lgs. 50/2016 prescrive che "per le concessioni ultraquinquennali, la durata massima della concessione non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario": se l'investimento del privato è costituito da una percentuale così ridotta, quanto breve dovrebbe essere la durata del contratto? E se la fase di gestione, in questo caso, è così esigua, ha senso un contratto di PPP, di per sé molto complesso, al posto di un più semplice appalto?
Concentrare le riflessioni ed i ragionamenti esclusivamente sul rispetto del limite del 49% del contributo pubblico, senza fare una verifica più ampia sulla significatività e sull'impatto del finanziamento pubblico più generalmente inteso, è evidentemente un'ingenuità che non tiene conto dell'importanza del trasferimento del rischio operativo come elemento cardine del contratto di PPP.
Ancora una volta si conferma la necessità di avvalersi di professionalità specifiche per la gestione delle operazioni di PPP, siano esse interne od esterne all'Amministrazione.
Voi che ne pensate? Alla prossima!

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