03 novembre 2023

 

Società di scopo: a chi conviene?


Ci stiamo ormai abituando al nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023): tra le novità in materia di PPP c'è l'obbligo di costituire la società di scopo nelle operazioni di finanza di progetto relative ad affidamenti sopra soglia comunitaria (art. 194). Nelle altre operazioni di PPP, invece, rimane solo una facoltà rimessa all'aggiudicatario (art. 198).
Ebbene, già prima dell'approvazione di questa nuova disciplina mi è capitato di avere un acceso dibattito social sul tema: ho toccato con mano una volta di più che la società di scopo è uno strumento che spaventa fortemente le imprese e le disincentiva ad intraprendere un'iniziativa di PPP.
Allora la domanda è: a chi "conviene" la società di scopo (o società di progetto o società veicolo-SPV che dir si voglia)? Nella mia personale opinione e secondo la mia esperienza, la risposta è "a tutti"! E ben venga, dal mio punto di vista, l'innovazione del nuovo Codice sul punto: la società di scopo, difatti, è un elemento che ritengo fondamentale per la buona riuscita delle operazioni di project financing.
Ma partiamo dal principio. Cos'è la società di scopo ed a cosa serve? E' presto detto: si tratta fondamentalmente di uno strumento societario atto a consentire la separazione economica e giuridica dell'investimento realizzato tramite project financing e dei suoi flussi di cassa dal patrimonio e dalla situazione finanziaria del soggetto affidatario (c.d. ring fence). In parole ancora più semplici, consiste nel costituire una nuova società partecipata dagli operatori economici aggiudicatari che abbia quale unico oggetto sociale la realizzazione dell'operazione di finanza di progetto affidata: l'effetto è che la gestione economica dell'operazione rimane isolata dagli altri affari degli operatori soci.
Dal punto di vista dell'esecuzione delle attività oggetto di affidamento, le stesse vengono solitamente svolte dai soci della società di scopo tramite affidamenti a valle: la norma, infatti, prevede che si intendono eseguite in proprio dalla società anche quando affidati direttamente ai propri soci (e si noti che la nuova norma parla di soci "originari o subentrati", aprendo così ad una serie di altri scenari sulla modifica della compagine sociale della società, ma di questo ne parleremo magari un'altra volta).
Ebbene, chi si avvantaggia di tale strumento?

  1. In primis, è un beneficio per le stazioni appaltanti, che hanno maggiori garanzie: il buon esito dell'operazione e la gestione dell'affidamento, difatti, sono così totalmente slegati dalle vicende dei singoli operatori economici partecipanti e dipendono esclusivamente dalla corretta esecuzione delle obbligazioni relative allo specifico affidamento;
  1. è una garanzia di bancabilità: gli enti finanziatori in ogni caso hanno sempre preteso la costituzione della società di scopo per essere certi di circoscrivere il rischio del finanziamento ai soli rischi dello specifico progetto (sebbene, quasi sempre, il project finance in Italia sia contaminato da garanzie di tipo corporate). Dunque le banche non possono che essere felici di questa scelta del legislatore;
  1. è un vantaggio per gli operatori economici affidatari, in quanto consente di efficientare i costi ed i guadagni del progetto. Né comporta oneri aggiuntivi rilevanti per le imprese, in quanto i costi di costituzione e funzionamento della società di scopo sono inclusi nel piano economico finanziario e, dunque, coperti pienamente dai ricavi del progetto. Senza contare che gestire un contratto di così lunga durata con un mero RTI sarebbe effettivamente impensabile;
  1. è un beneficio per la collettività, perché minimizza i rischi di default dei progetti per ragioni esterne all'operazioni stessa.
Tutti i soggetti coinvolti, quindi, come anche l'interesse pubblico, beneficiano pienamente di questo strumento: come anticipato, conviene a tutti!
Qualche dubbio rimane comprensibile in caso di investimenti molto limitati nell'importo, da eseguirsi magari da una singola impresa affidataria e senza necessità di ricorrere a finanziamenti; in questo caso, però, penso che la vera domanda da porsi dovrebbe essere: vale la pena ricorrere ad uno strumento complesso e duraturo come il PPP in ipotesi del genere?
Tu che ne pensi?
A presto!

28 novembre 2022

 Il futuro del PPP: un passo avanti e due indietro


A qualche settimana dalla circolazione della bozza di nuovo Codice dei contratti pubblici e nel pieno del dibattito in corso, voglio oggi fare qualche prima considerazione preliminare sulla nuova disciplina del PPP, sebbene ancora ipotetica e non definitiva. Mi concentrerò oggi su alcuni limitati profili, ma sarò ben felice di fare ulteriori valutazioni in futuro ove siate interessati.

In ottica costruttiva, voglio innanzitutto mettere in evidenza alcuni profili di evoluzione positiva della nuova disciplina rispetto a quella attualmente vigente.

  1. sparisce finalmente la ripartizione dei contratti di PPP in contratti di PPP e concessioni: l'utilizzo della nozione di partenariato pubblico privato sia come categoria generale che come tipologia di contratto creava una serie di inutili ambiguità senza alcun beneficio;
  2. la norma prevede espressamente la possibilità per le stazioni appaltanti di sollecitare proposte di finanza di progetto, strumento che ad oggi è stato ammesso solo giurisprudenzialmente;
  3. scompare la cauzione nella presentazione di proposte di finanza di progetto, obbligo che sinora ha creato non pochi ostacoli alla promozione di PPP particolarmente importanti i quali, conseguentemente, devono essere corredati da cauzioni molto alte e spesso introvabili sul mercato;
  4. la società di progetto diviene obbligatoria nella finanza di progetto, mentre rimane solo facoltativa negli altri contratti di PPP: è vero che questo potrà costituire una complicazione, soprattutto per le grandi imprese, ma innegabilmente agevola la bancabilità e la sicurezza delle operazioni di project financing e ciò può essere un grande aiuto per il mercato;
  5. la norma sdogana a livello legislativo l'affidamento diretto di lavori e servizi da parte della società di progetto ai propri soci, anche subentrati, oltre a quelli originari;
  6. tra le ipotesi di legittima modifica dei contratti di PPP in corso di esecuzione, in conformità alle direttive europee, si prevede anche la possibilità di includere clausole di revisione dei prezzi;
  7. la predisposizione dei livelli di progettazione successivi a quello di fattibilità ritorna tra le prestazioni dell'aggiudicatario, non essendo più prescritta la previa approvazione del progetto definitivo per la firma del contratto.

A fronte di queste novità sicuramente positive, ci sono alcune previsioni lacunose e chiaramente distorsive che rischiano, innanzitutto, di far naufragare la finanza di progetto, prevista nel nuovo Codice solo in caso di iniziativa privata.

In primo luogo, non vengono in alcun modo delineati i requisiti richiesti per la presentazione delle proposte di project financing. Senza nulla dire sul punto, la bozza di nuovo Codice si lancia poi nel disciplinare la posizione di investitori istituzionali e camere di commercio. Questa lacuna costituisce un ostacolo bloccante per lo sviluppo di iniziative di finanza di progetto: essendo oggettivamente impossibile che l'intento del legislatore fosse consentire la presentazione di proposte a chiunque indiscriminatamente, è evidente che l'assenza di disciplina impedisce agli operatori economici di comprendere se possano o meno promuovere iniziative, con conseguente azzeramento del relativo mercato.

Inoltre, sparisce il termine di tre mesi per le Amministrazioni ai fini della valutazione della proposte, che sono ora tenute genericamente ad agire "tempestivamente": si tratta di una scelta chiaramente contraria alla necessità, invece imprescindibile, di accelerare le procedure e dare sufficiente tutela al legittimo affidamento del proponente a vedersi riconosciuto il proprio sforzo, anche economico, di progettare un investimento pubblico in sostituzione della stazione appaltante.

Ma la novità più gravemente pregiudizievole per il futuro del project financing è la scelta discrezionale, attribuita alla stazione appaltante, di riconoscere al promotore la prelazione oppure un punteggio premiale. La previsione del punteggio premiale in sostituzione del diritto di prelazione non solo disincentiva fortemente l'iniziativa privata, ma appare anche viziata ed illegittima sotto almeno due profili:

a) oltre a poter comportare in astratto una violazione della trasparenza ed imparzialità della valutazione dell'offerta (nella misura in cui una parte del punteggio attribuito ad uno specifico concorrente è noto ancora prima dell'apertura delle buste), costituisce anche un'illegittima commistione tra requisiti soggettivi ed elementi di valutazione dell'offerta (non si premia, infatti, alcun profilo correlato alla qualità dell'offerta, ma piuttosto caratteristiche soggettive del concorrente);

b) in maniera assai più grave, questa scelta è contraria all'interesse pubblico perché può consentire in astratto l'aggiudicazione della gara ad un'offerta che non è la migliore: mentre, infatti, con la prelazione, il promotore in ogni caso è tenuto ad adeguarsi all'offerta vincitrice (per cui si stipula sempre alle condizioni migliori per la stazione appaltante), il punteggio premiale può in astratto consentire l'aggiudicazione ad un'offerta peggiorativa per tutti gli altri profili qualitativi e quantitativi.

Ci sarebbe tanto altro da dire, ma per oggi mi fermo qui.

Alla prossima!

14 ottobre 2022

 PNRR e PPP: il placet di ANAC


Non posso oggi esimermi dal spendere qualche parola sulla Delibera ANAC n. 432 del 20 settembre 2022, pubblicata e commentata un po' ovunque ed accolta come notizia rivoluzionaria per l'immediato ed effettivo riscatto dello strumento del PPP nell'attuazione del PNRR: la realtà è che l'ANAC sicuramente dà una buona spinta all'utilizzo del PPP, con una delibera utilissima in via interpretativa per le Amministrazioni, ma non ci dice fondamentalmente nulla di nuovo. Non solo, ma questo provvedimento rischia di creare seri problemi se non correttamente interpretato ed adeguatamente letto, perché potrebbe ingenerare l'errata convinzione che la presenza dei fondi PNRR rimuova integralmente i limiti al contributo pubblico nei contratti di PPP.
Così non è! Né ANAC lo ha mai affermato, anzi ha detto il contrario pur in maniera evidentemente troppo implicita per chi non è sufficientemente esperto nel settore. Dunque, procediamo con ordine.
ANAC afferma, sulla base delle previsioni Eurostat, che non incidono sul calcolo del limite di contribuzione pubblica agli investimenti le risorse europee, anche provenienti dal PNRR, che non incidano sulla finanza pubblica nazionale e non risultino in alcun modo a carico della PA: tale indicazione, specifica l'Autorità, vale esclusivamente per i contributi di matrice eurounitaria a fondo perduto (c.d. grants), non per i prestiti onerosi soggetti ad obbligo di restituzione da parte dello Stato membro (c.d. loans).
Ebbene, tra i professionisti esperti di PPP sin dalla pubblicazione, nel 2013, dell'Esa 2010 e del Manuale sulla Contabilizzazione del Deficit e del Debito di Eurostat era nota la possibilità di superare la quota di contribuzione pubblica del 50% in presenza di utilizzo da parte della PA dei fondi strutturali europei (SIE) e, più in generale, da quelli 1) erogati da entità internazionali, 2) sulla base di accordi intergovernativi, 3) quando i fondi sono destinati a soggetti non appartenenti alla Pa. Proprio per questa ragione l'apprezzabile chiarimento di ANAC non è rivoluzionario, ma rappresenta un importante ausilio interpretativo per privati ed Amministrazioni nello sviluppo di progetti di partenariato finanziati con fondi PNRR e, più in generale, fondi europei.
Ciò chiarito, è fondamentale, con specifico riguardo al PNRR, sottolineare la distinzione giustamente ribadita da ANAC tra contributi a fondo perduto e prestiti onerosi: solo i primi, infatti, non rilevano ai fini del calcolo del contributo pubblico massimo erogabile. Ebbene, com'è noto, i fondi del PNRR non sono tutti a fondo perduta, ma una parte sono concessi a titolo di prestito che deve essere restituito. Questa seconda componente, dunque, costituisce indebitamento e rientra nel conteggio del 49% massimo di contributo pubblico concedibile.
Più nello specifico, quando si trovi di fronte ad un'operazione finanziata con fondi PNRR, l'Amministrazione, ai fini del calcolo del vincolo del 49%, dovrà verificare la fonte di provenienza dei fondi (Next Generation e/o Fondo Complementare) e rispetto alle quote di finanziamento di queste due fonti scorporare, per la sola quota proveniente da Next Generation Eu, la parte del finanziamento riferibile alla quota a fondo perduto. Solo questa beneficerà, difatti, della suddetta "franchigia", mentre la parte residua dovrà essere computata ai fini del calcolo del vincolo di contribuzione pubblica.
Si deve, inoltre, considerare che secondo le norme Eurostat, la percentuale di massima contribuzione pubblica con risorse "nazionali" o che, comunque, impattano sui conti nazionali (49% per i vincoli posti dal nostro Codice) non si applica sul totale dell'investimento, ma sul netto residuo una volta detratta la quota di contribuzione connessa ai fondi erogati da entità internazionali sulla base di accordi intergovernativi.
L'impostazione di operazioni di PPP con fondi PNRR, quindi, contrariamente a quanto da molti percepito, non consente di escludere la totalità di finanziamenti PNRR dal calcolo del contributo pubblico, ma richiede un'attività complessa e specifiche competenze tecniche: vanno verificati gli specifici apporti di fondi Next Generation EU grant, di Next Generation EU loan e di Fondo Complementare per le singole missioni ed i singoli progetti e di volta in volta calcolato quanto può essere elevata la quota di contribuzione piccola rispetto al 49% consentito dalla legge.
Ben venga, dunque, il chiarimento proveniente da ANAC, che sicuramente rappresenta un utilissimo ausilio interpretativo ed un incentivo all'utilizzo dello strumento del PPP anche per spendere i fondi PNRR ed i fondi europei più in generale, ma si deve fare molta attenzione alle applicazioni concrete di questi principi. Perché un'impostazione erronea, in questa specifica fattispecie, porta indubbiamente alla classificazione automatica on balance dell'operazione, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di finanza pubblica e di responsabilità erariale.
Inoltre, tutti si sono preoccupati esclusivamente della percentuale del contributo pubblico, ma la questione va analizzata sotto almeno due ulteriori profili più strettamente giuridici.
Ammettiamo che, rispettando i suddetti principi (non sforando, quindi, il limite del 49% di contributo pubblico perché si utilizza una percentuale significativa di contributi comunitari a fondo perduta), si riesca ad impostare un contratto in cui il finanziamento da parte dell'Amministrazione arriva a coprire il 70-80% dell'investimento, ci sono due elementi su cui riflettere:
1) siamo certi che caricare sulla parte privata una percentuale così ridotta di investimento (20-30%) consenta l'effettivo trasferimento del rischio operativo sul privato? Non dimentichiamo che questo è un requisito fondamentale per la configurazione del contratto di PPP. Possiamo ritenere che il rischio di costruzione sia effettivamente trasferito quando il privato si deve preoccupare di recuperare con la sua buona gestione una percentuale così ridotta dell'investimento? Siamo sicuri che il PSC risulterebbe a favore del contratto di PPP?
2) l'art. 168 del D.Lgs. 50/2016 prescrive che "per le concessioni ultraquinquennali, la durata massima della concessione non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario": se l'investimento del privato è costituito da una percentuale così ridotta, quanto breve dovrebbe essere la durata del contratto? E se la fase di gestione, in questo caso, è così esigua, ha senso un contratto di PPP, di per sé molto complesso, al posto di un più semplice appalto?
Concentrare le riflessioni ed i ragionamenti esclusivamente sul rispetto del limite del 49% del contributo pubblico, senza fare una verifica più ampia sulla significatività e sull'impatto del finanziamento pubblico più generalmente inteso, è evidentemente un'ingenuità che non tiene conto dell'importanza del trasferimento del rischio operativo come elemento cardine del contratto di PPP.
Ancora una volta si conferma la necessità di avvalersi di professionalità specifiche per la gestione delle operazioni di PPP, siano esse interne od esterne all'Amministrazione.
Voi che ne pensate? Alla prossima!

05 agosto 2022

 GLI OSTACOLI AL PPP


In questo periodo delicato di riforma legislativa e di particolare fermento per gli investimenti pubblici, vorrei chiudere la stagione della newsletter con qualche riflessione sulle motivazioni che impediscono il decollo del PPP come efficace strumento di realizzazione di opere e servizi di qualità.

Le ragioni sono sicuramente molte e complesse, ma mi limiterò per oggi ad evidenziare quelle che secondo me sono il principale ostacolo all'ampia e corretta diffusione di questo istituto.

Complessità normativa: è un problema che riguarda più in generale la disciplina di tutti i contratti pubblici, per cui si auspica una reale e concreta semplificazione nella riforma legislativa in atto. Si dovrebbe agire per lo meno su due fronti: (i) semplificazione testuale (eliminazione delle ambiguità interpretative, delle contraddizioni e delle lacune; chiarezza e semplicità delle espressioni; etc.); e (ii) semplificazione burocratica/amministrativa (eliminazione di adempimenti inutili in fase di gara ed in fase esecutiva; riduzione degli oneri procedimentali; etc.).

La complessità normativa, ad esempio, con riguardo specifico ai contratti di PPP, impatta sotto molteplici profili, tra cui possiamo ricordare:

  • incertezza sui requisiti del promotore e del concessionario
  • carenze di disciplina su aspetti fondamentali come possono essere la cauzione in fase di presentazione di proposte private o la gestione di problematiche in fase esecutiva quali le variazioni rilevanti dei costi di investimento
  • assenza di disciplina tassativa che agisca sulle tempistiche delle procedure
  • complessità di tutti i procedimenti di gara ed amministrativi autorizzativi connessi alle operazioni di PPP

Tutte queste problematiche incidono in maniera significativa sul buon esito delle operazioni di PPP e dovrebbero essere valutate e risolte già a livello legislativo.

Asimmetria informativa e carenze di competenze nella PA: un altro ostacolo molto rilevante al buon esito delle operazioni di PPP è costituito dalla notoria carenza di adeguate professionalità nella PA e dall'evidente asimmetria informativa tra PA ed imprese.

Da questa situazione deriva inevitabilmente non solo un ingiustificabile allungamento dei tempi dei procedimenti (che può essere fatale per l'operazione considerata) ma anche, molto spesso, una gestione dei procedimenti in maniera del tutto illogica, arbitraria ed irragionevole nonché il timore bloccante dei pubblici funzionari ad agire in ambiti poco conosciuti.

Per superare tale ostacolo è necessario:

  • agire in maniera efficace sulla professionalizzazione del personale delle PA
  • semplificare ed incentivare l'utilizzo di consulenti esterni competenti ed esperti in materia
  • incentivare l'azione dei funzionari pubblici e non premiarne l'inerzia (come si dice, chi non fa non sbaglia, ma seguendo questo principio tutto rimane fermo!).

Ci sarebbe tanto altro da dire, ma per oggi mi fermo qui.

Vi auguro buone vacanze!

12 luglio 2022

 Le 5W del riequilibrio

Oggi affrontiamo un tema sempre molto spinoso dei contratti di PPP: il famigerato RIEQUILIBRIO. E' un profilo delicatissimo per il suo impatto diretto sulla corretta allocazione dei rischi: è, quindi, importantissimo che sia disciplinato nella giusta maniera in fase di redazione dei contratti e che sia gestito con attenzione in fase di esecuzione.
Ma vediamo gli aspetti fondamentali di questo istituto.
WHY: PERCHE' SI FA IL RIEQUILIBRIO?
Secondo il Codice si deve procedere al riequilibrio al verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario (art. 165, co. 6, e 182, co. 3, d.lgs. 50/2016).
Cosa significa in concreto? Che il privato non può subire i danni economici derivanti dall'avverarsi di rischi che non sono allocati su di lui: in questi casi, ha diritto al c.d. riequilibrio del piano economico - finanziario.
Per fare qualche esempio:
  • aumentano i costi di esproprio;
  • il Concedente richiede una variante progettuale non dovuta ad errori od omissioni del Concessionario;
  • vi sono ritardi rilevanti nel rilascio delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell'opera;
  • il Concedente impone una modifica dei servizi in fase gestionale.
In tutti questi casi, trattandosi di rischi che non sono allocati sul privato, egli ha diritto al riequilibrio del piano economico-finanziario.
Ma, da ricordare, lo stesso meccanismo di riequilibrio si applica anche nel caso in cui il privato consegua un beneficio dai medesimi eventi: in tale ipotesi, il riequilibrio dovrà essere effettuato a favore del Concedente.
Di fatto, il riequilibrio dei contratti pubblici è la declinazione in quest'ambito del più generale principio civilistico della sopravvenuta eccessiva onerosità del contratto.
WHAT: COS'E' IL RIEQUILIBRIO?
Ma quando parliamo di riequilibrio del piano economico - finanziario, a cosa facciamo riferimento in concreto? Si tratta dell'attività di modifica/revisione del PEF al fine di riportare gli indici di redditività al livello originario, neutralizzando gli effetti negativi dell’evento considerato.
Per fare un esempio concreto ed estremamente semplificato (mi perdoneranno gli amici analisti economico-finanziari se ometto tutti gli elementi di matematica finanziaria e struttura finanziaria, in perfetto stile "conto della serva" 😅, per far comprendere a tutti il meccanismo):
  • ho un contratto di PPP che dura 10 anni, con un investimento di 1000 da realizzare in 2 anni e 8 anni di gestione con costi operativi annui di 10 (totale costi in 10 anni 1.080): il concessionario viene ripagato in 8 anni con un canone di 140 (135 di copertura di costi più 5 di guadagno);
  • un evento non riconducibile al concessionario comporta un aumento dell'investimento di 200, lasciando invariati gli altri dati: per riequilibrare dovrò aumentare il canone a circa 165 (160 di copertura di costi più 5 di guadagno)
  • un evento non riconducibile al concessionario comporta una diminuzione dell'investimento di 100, lasciando invariati gli altri dati: per riequilibrare dovrà diminuire il canone a 127,5 (122,5 di copertura di costi più 5 di guadagno).
Dunque, come si vede, il canone può aumentare o diminuire al fine di coprire i maggiori o minori costi, lasciando invariato il guadagno del privato.
Ovviamente l'operazione di riequilibrio è molto più complessa, quanto può essere complessa la strutturazione di un piano economico finanziario, e può essere gestita solo da chi ha piene competenze di analisi economico-finanziaria, ma questa semplificazione aiuta a comprendere quale sia lo scopo finale.
L'importante è, da una parte, neutralizzare gli effetti negativi o indebitamente positivi dell'evento, e, dall'altra, fare attenzione a non modificare in alcun modo l'allocazione dei rischi né i guadagni del privato.
WHO: QUALI SONO I SOGGETTI COINVOLTI?
Il riequilibrio può essere richiesto sia dal Concedente che dal privato: una volta che sia fatta la richiesta da una delle due parti, si avvia il relativo procedimento in contraddittorio.
Spesso le convenzioni non stabiliscono procedure e termini precisi per la conduzione e la conclusione del procedimento, il che comporta notevoli problemi interpretativi ed allungamenti delle tempistiche in fase gestionale. L'ideale sarebbe stabilire sin dall'inizio termini e processi in modo che si possa giungere ad un accordo sul riequilibrio nel più breve tempo possibile: il trascorrere del tempo, infatti, non fa altro che aggravare lo squilibrio, andando così a svantaggio dell'interesse pubblico.
Altro soggetto che può essere coinvolto nel procedimento è il NARS (Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità): la sua previa valutazione della revisione del PEF è obbligatoria nei casi di opere di interesse statale ovvero finanziate con contributo a carico dello Stato, mentre è facoltativa e può essere richiesta a discrezione dell'Amministrazione negli altri casi.
WHEN: QUANDO SI FA IL RIEQUILIBRIO?
A livello normativo non ci sono termini per avviare il procedimento di riequilibrio né molto spesso ci sono indicazioni in proposito nei contratti.
In via generale, riterrei che vadano rispettati due criteri per la scelta del momento giusto in cui avviare il riequilibrio:
  1. le conseguenze pregiudizievoli o favorevoli dell'evento di riequilibrio dovrebbero essersi esaurite, in quanto solo tale presupposto consente un calcolo esatto dei dati per procedere alla revisione del PEF;
  2. i principi di buona fede contrattuale importerebbero che la richiesta di riequilibrio vada fatta prima possibile una volta esauriti gli effetti dell'evento di riequilibrio: la tempestività dell'azione, infatti, consente di contenere l'aggravamento degli effetti negativi.
HOW: COME SI FA IL RIEQUILIBRIO?
Quindi, come si fa in concreto il riequilibrio del piano economico - finanziario? Ebbene, le modalità di riequilibrio sono rimesse all'esclusiva discrezionalità del Concedente.
Le modalità di riequilibrio possono incidere su uno qualsiasi degli elementi di ricavato del contratto di PPP. Ad esempio:
  • aumento o diminuzione del contributo pubblico o del canone;
  • aumento o diminuzione delle tariffe;
  • aumento o riduzione della durata della contratto di PPP;
  • pagamento di un prezzo una tantum di qualunque tipologia, inclusa la cessione di immobili.
Dall'altra parte il privato ha diritto alla revisione, una volta accertata la legittimità del presupposto e l’effettiva lesione dell’equilibrio economico-finanziario della concessione: in caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico-finanziario, infatti, le parti possono recedere dal contratto, con conseguente corresponsione al privato degli indennizzi previsti dalla legge.

Ci sarebbe ancora moltissimo da dire e da approfondire, magari lo faremo più avanti.
Intanto buona lettura e alla prossima!

23 giugno 2022

L'IMPORTANZA DEL PROJECT MANAGEMENT NEI PPP


I PPP sono progetti molto complessi da ideare e da gestire: come può influire sul buon esito delle operazioni l'attività di project management? Ce lo facciamo raccontare oggi dall'amico Denis Dal Soler, esperto e visionario Project Manager con una grande passione per i PPP.

1.       Parlaci di te in poche righe e del tuo ruolo nelle operazioni di PPP.
Sono un Ingegnere specializzato nel Project Management di progetti e programmi complessi, con particolare riferimento a quelli di sviluppo territoriale, turistico ed urbano, con o senza infrastrutture. Nelle operazioni di PPP mi occupo in particolare di modellizzare il sistema complessivo oggetto di PPP, definire gli obiettivi ed i bisogni del cliente e tradurli in requisiti tecnici, economico-finanziari e gestionali. A ciò spesso aggiungo l’identificazione e gestione del rischio e la definizione delle principali caratteristiche del sistema informatico di monitoraggio. Infine mi occupo delle tipiche funzioni del Project Manager ossia strutturare e coordinare il team, integrare gli apporti specialistici ed essere il punto di contatto tra il team ed il cliente.

2.      Perché è importante il Project Manager in un PPP?
Una delle criticità maggiori nella strutturazione di un PPP è la capacità di allineare gli obiettivi del cliente, spesso di alto livello, a requisiti tecnici, gestionali ed economico-finanziari dettagliati ed oggettivi che consentano da un lato di elaborare progetti di fattibilità sostenibili e dall’altro di soddisfare le regole che il Codice appalti impone ad operazioni di questo genere.  Il Project Manager si occupa esattamente di questi aspetti ed è quindi importante in quanto un PPP è sostanzialmente un progetto che deve garantire il perseguimento di alcuni obiettivi entro limiti di tempo e di costo.

3.       Quali criticità ravvisi maggiormente nella comprensione del tuo ruolo da parte del cliente?
Generalmente il cliente, soprattutto se privato, ha ben chiare le opportunità di business o strategiche che un PPP può attivare mentre non comprende, ed a volte mal digerisce, che queste opportunità debbano essere tradotte in documenti molto tecnici e dettagliati graditi alla PA. Il Project Manager è colui che maggiormente nel team ha questa responsabilità di allineamento che il cliente percepisce qualche volta più come un eccesso di burocratizzazione che uno sforzo necessario per raggiungere l’obiettivo. Nelle operazioni di iniziativa privata inoltre il Project Manager è l’ufficiale di collegamento con la PA e si trova quindi a dover spiegare al cliente ciò che la PA vuole, spesso consapevole che utilizzano due linguaggi differenti.

4.      Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato nello svolgimento di questa funzione?
Va distinto se si tratta di un cliente pubblico o privato. Nel primo caso le maggiori difficoltà attengono al far comprendere ad Amministratori e Dirigenti che un’operazione di PPP non è una speculazione che genera indebito guadagno al concessionario, quanto piuttosto un’opportunità di acquisire know how e capitali privati per realizzare iniziative di interesse pubblico. Nel secondo caso la difficoltà è speculare e cioè quella di far comprendere al privato che sta realizzando un’opera pubblica che lui sarà chiamato a gestire e pertanto è tenuto a rispettare alcune regole gestionali a garanzia della corretta disponibilità del bene o del servizio. Spesso viceversa si confonde il PPP con un contributo pubblico a fondo perduto per fare un’opera privata.

5.       Qual è il maggior fraintendimento che ruota intorno alla figura del Project Manager nelle operazioni di PPP?
Spesso si ritiene che la figura del Project Manager possa essere assolta dal Responsabile tecnico dell’operatore privato o dal Dirigente lavori pubblici della PA. Sarebbe come confondere il Direttore lavori con il responsabile dell’impresa. In realtà, salvo rari casi, le due figure suddette hanno tipicamente spiccate competenze tecniche ma non gestionali. Essi conoscono quindi molto bene ciò che noi chiamiamo l’ambito del progetto (output, azioni, ecc.) ma mancano di tutte le restanti competenze che un project Manager ha quali per esempio l’analisi economico finanziaria di alto livello con la definizione delle assumptions, la definizione dei requisiti, la definizione delle KPI, la leadership e l’integrazione degli apporti specialistici, ecc. In particolare mancano di una competenza strategica nelle operazioni di PPP: l’analisi e la gestione del rischio che stanno alla base della corretta ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario e che trovano concretizzazione nella matrice dei rischi.

6.      Ci racconti brevemente una particolare esperienza che ti è rimasta nel cuore?
Sicuramente la strutturazione, peraltro ancora in corso, di un Project Financing di iniziativa privata nell’ambito della gestione integrata del servizio di raccolta e fornitura d’acqua in pressione per il sistema di innevamento di un importante Comprensorio Sciistico dell’Arco Alpino. Tale esperienza, che mi vede impegnato insieme a Iniziativa e P&I, mi ha consentito di sperimentare con successo l’applicazione del PPP in un nuovo ambito fino ad oggi poco sviluppato quale appunto quello dell’innevamento. La sfida in questo caso è stata lo sviluppo di un modello integrato che comprendesse tutta la filiera dell’acqua, dalla sua captazione alla distribuzione in pressione sui cannoni da neve, e la successiva traduzione del modello in requisiti e KPI oggettivamente verificabili e monitorabili attraverso una piattaforma informatica web based. Esperienza entusiasmante che ritengo possa essere una best practice  nell’ambito degli impianti invernali e non solo.

Grazie a Denis per il suo importante contributo che aggiunge un tassello importante alla cultura del PPP che vogliamo diffondere.
Alla prossima!

27 maggio 2022

 5 errori ricorrenti nella matrice dei rischi


La matrice dei rischi è un documento molto importante per chi si approccia ad un'operazione di PPP, troppo spesso sottovalutato ed affrontato con superficialità. E' essenziale che sia fatto bene sia per la corretta valutazione del vantaggio dell'operazione di PPP rispetto a procedure tradizionali sia per la buona gestione del contratto in fase esecutiva.
Ribadisco, ne avevo già parlato in passato, che la qualità dell'allocazione dei rischi in un contratto di PPP non è direttamente proporzionale al numero di rischi a carico del soggetto privato, ma dipende dall'esatta attribuzione del rischio a carico del soggetto che è più idoneo a gestirli. La matrice dei rischi, dunque, è uno strumento fondamentale per verificarne la giusta allocazione.


Scopriamo insieme, quindi, quali sono i 5 errori più comuni che vengono fatti nella redazione e valutazione della matrice dei rischi:


1) Erronea interpretazione della funzione della matrice dei rischi
La matrice dei rischi non disciplina l'allocazione dei rischi, ma si limita a costituirne una fotografia in forma schematica: l'allocazione dei rischi viene concretamente ed effettivamente disciplinata nei documenti contrattuali (convenzione, disciplinare di gestione, piano economico-finanziario, etc...), non nella matrice!


2) Superficiale indicazione dei rischi allocati
Non si può pensare di utilizzare una matrice standard per tutti i contratti di PPP, non esiste uno schema valido per qualsiasi tipologia di contratto. La matrice dei rischi deve essere specificamente costruita sulla singola operazione, sia con riferimento alle tipologie di rischio individuate che alla relativa allocazione.
La matrice dei rischi non si può ridurre alla generica indicazione di "rischio di progettazione", "rischio di costruzione", "rischio di disponibilità" e "rischio di domanda". Ciascuna di queste categorie generali deve essere declinata nei rischi specifici relativi alla singola operazione nonché, ove opportuno, alle diverse fasi del contratto di PPP.


3) Individuazione ed indicazione delle misure di mitigazione del rischio
Per la verifica della corretta allocazione e gestione dei rischi, riveste un ruolo fondamentale l'esatta individuazione ed indicazione delle misure di mitigazione del rischio.
Le misure di mitigazione del rischio sono tutte quelle soluzioni, circostanze ed accorgimenti che consentono una migliore gestione del rischio e, dunque, riducono le possibilità che questo si avveri creando un problema in fase di esecuzione del contratto. Non sono gli strumenti di reazione al rischio o l'effetto del verificarsi del medesimo: ad esempio, la risoluzione del contratto non può essere considerata una misura di mitigazione del rischio come non può esserlo il riequilibrio!


4) Indicazione di rischi "non allocati"
Non esistono rischi che possono essere indicati come "non allocati". Ogni rischio che può derivare dall'esecuzione del contratto deve essere in qualche modo gestito e, dunque, allocato. Se sono indicati rischi "non allocati", ci sono solo due interpretazioni possibili: o quel rischio non esiste (ad esempio il rischio domanda in un contratto soggetto solo a rischio di disponibilità) o il contratto è gravemente carente (non disciplina la gestione di un rischio esistente che, invece, deve essere disciplinata).


5) Erronea indicazione dei riferimenti contrattuali rilevanti
L'indicazione dei riferimenti contrattuali dove sono regolamentati i singoli rischi non rappresenta solo una formalità, ma costituisce un elemento fondamentale della matrice dei rischi. La mera dichiarazione dell'allocazione dei rischi sull'una o sull'altra parte contrattuale, infatti, non ha alcun valore se non trova riscontro effettivo nella disciplina convenzionale: l'erronea indicazione dei riferimenti contrattuali impedisce alla stazione appaltante di verificare l'effettiva allocazione dei rischi come dichiarata nella matrice.
Se, poi, l'indicazione dei riferimenti contrattuali è sbagliata perché non si è in grado di individuare quelli corretti, il problema è ancora più grave: è carente il contratto che non disciplina con sufficiente chiarezza e specificità l'allocazione dei rischi. In questo caso, quindi, la soluzione evidentemente è agire sul testo della convenzione, non sulla sola matrice dei rischi.


Per oggi è tutto, alla prossima!

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